L’infinito a portata di mano

Visto che hanno appena trovato (forse) un neutrino e mio figlio Alessandro ha passato indenne anche la seconda liceo scientifico (con voti in matematica che spaziano dal 3 e mezzo all’8 e mezzo, la professoressa gli ha detto “Beri, non ci facciamo mancare nessuna emozione, eh?”), mi è tornata in mente questa bella intervista a Camilleri che lessi su un numero di Le Scienze del 2007.

L’infinito a portata di mano.
di Andrea Camilleri

Con grandissimo dispiacere di mio padre, che era fisico-matematico, arrivai alla terza liceo che ancora non sapevo memorizzare le tabelline. Figuratevi se potevo affrontare la trigonometria o la fisica! La mia professoressa, rendendosi conto che ero assolutamente negato, fece con me un patto: mi avrebbe dato la promozione col sei se in tutte le altre materie scolastiche avessi avuto almeno sette. Rispettai il patto e lei lo rispettò. Fortunatamente non dovetti sostenere il terribile esame di maturità perché, nell’aprile del 1943, gli eserciti alleati erano alle porte della Sicilia, sentivamo il rombo delle cannonate su Lampedusa, e quindi fummo giudicati per scrutinio. Venni promosso e da lì a due mesi, chiamato alle armi con un anno d’anticipo, mentre gli alleati sbarcavano, sostenni il mio vero esame di maturità alla vita. Devo confessare che, col trascorrere degli anni, ho sempre più rimpianto di non essere mai riuscito a capire nulla di matematica e fisica. Ho persino tentato di leggere libri divulgativi che anche un bambino di sette anni riusciva a comprendere, niente da fare. Con l’età, ho cominciato a giudicare questa mia incapacità come una vera e propria menomazione connaturata, una malformazione di nascita, un brutto handicap che m’impediva una più ampia comprensione del mondo. La discreta conoscenza letteraria della quale sono in possesso riesce infatti solo a spiegarmi, in parte, i comportamenti umani, i loro complessi rapporti con gli altri e con la società, ma non riesce minimamente a illuminarmi su elementari fenomeni quotidiani come il sole, l’aria, la luce, la terra, il fuoco. Sono insomma un rappresentante mezzo cieco di una delle due culture, per parafrasare un titolo di Snow, che anela ormai invano a conoscere un minimo, un qualcosa, dell’altra cultura perché pensa che ne uscirebbe enormemente arricchito. Così, per rifarmi, assiduamente leggo le pagine scientifiche dei giornali e, per quel poco che riesco a capirci, m’entusiamo ad ogni nuova scoperta, a ogni nuova avventura scientifica. Sono come un tifoso che esulta a bordo campo ma non saprebbe calciare un pallone. Perciò la prima volta accolsi con entusiasmo l’invito a visitare i laboratori del Gran Sasso. Ci entrai, lo confesso, con un certo batticuore che si accentuò non appena mi resi conto della vastità incredibile di quei laboratori sotterranei. La prima impressione che ne ebbi fu quella di vedere tre enormi cattedrali viventi messe l’una accanto all’altra. Io, che non sono credente, ne ebbi come un senso di religiosità laica. Tanto che, fumatore accanito come sono, spontaneamente, per rispetto, mi passò la voglia d’infilarmi una sigaretta in bocca, non avevo bisogno d’obbedire ai grandi cartelli sui quali c’era scritto ch’era vietato fumare. Mentre mi parlavano delle ricerche in corso, tra le quali una che avrebbe spedito dei neutrini da Ginevra, io mi incantavo dietro agli stupendi nomi coi quali venivano designate le varie ricerche, nomi certamente attinenti alle diverse specificità, ma che mi aprivano la fantasia, me la liberavano, mi trasformavano le grandi apparecchiature in immense suggestioni in grado di trasportarmi in un fantastico viaggio verso il Sole e le stelle, assai più che delle comuni astronavi. Da lì a poco mi trovai commosso fino alle lacrime. Fu quando mi venne spiegata l’importanza fondamentale di una certa quantità di piombo ritrovata in una nave romana affondata oltre duemila anni fa: quell’antico piombo aveva permesso di studiare meglio i neutrini. In quel momento compresi che dentro quel laboratorio era il tempo stesso a concretizzarsi, a rappresentarsi interamente nel suo passato, nel suo presente e nel suo futuro.

Ci sono tornato una seconda volta, mi hanno fatto vedere la gigantesca apparecchiatura per la ricerca dei neutrini ormai in pieno corso, ancora una volta non ho avuto nessuna voglia di fumare. Mi sono ripromesso di tornarci almeno una terza volta. Perché? Perché mai come lì, sottoterra, in un ambiente chiuso, ho provato la sensazione vertiginosa di avere l’infinito a portata di mano.

Tafazzi terrore degli spazi

Senza scendere in ardite analisi politiche, ma c’è davvero da essere così contenti di avere come consiglieri regionali il figlio di Bossi, bocciato due (o tre?) volte alla maturità, e l’igienista dentale di Berlusconi?

Mah…

Siamo tutti un po’ Tafazzi.

6 settembre 2006

Visto il discreto successo del pezzo sulla neve, replico con una altrettanto spassosa vicenda di qualche anno fa. Ne ho diverse di storie del genere in “saccoccia”… 🙂

 

7 settembre, 2006

 

 

Ieri ero a Torino tutto il giorno. Avevo, tra l’altro, una riunione fissata per le 17 e quindi già mi immaginavo l’orario di ritorno. Per fortuna tutti erano presenti già alle 16 e 30 per cui abbiamo iniziato prima e alle 17 e 45 tutto era già finito. “Che fortuna,” – ho pensato – “stasera non torno tardi”. Mi incammino verso l’auto ed ecco la sfiga: la ruota posteriore sinistra è bucata. Va beh, guardo la ruota per qualche secondo nella speranza che tutto si sistemi da solo ma niente da fare… rimane sgonfia.

Realizzo che devo cambiarla. Allora comincio la prima avventura: alla ricerca della gomma! Bagagliaio: niente. Cofano: niente. Pianale del bagagliaio: niente. Alla fine mi getto a terra piangendo e la vedo: appesa sotto l’auto… evviva!

Seconda avventura: alla ricerca di come si stacca la ruota! Provo a toccare le viti, i ganci, i ferri che la tengono su ma non ottengo niente, anzi no, qualcosa ottengo: sporco i pantaloni, la maglietta e mi riempio di polvere nera fino ai gomiti. Alla fine cedo e prendo il libretto delle istruzioni e leggo: “per sbloccare la gomma svitare la vite situata nel bagagliaio sotto il tappetino usando la chiave che troverete nell’attrezzatura”.

Terza avventura: alla ricerca dell’attrezzatura! Dov’è l’attrezzattura? Altro paragrafo: “l’attrezzatura è situata nel vano portaoggetti nel pianale dietro il sedile anteriore destro”. Guardo dietro il sedile e non trovo una mazza… oh cazzo… cerco negli altri sedili, magari avranno stampato male… niente. Allora riprendo il paragrafo e leggo parola per parola e mi fermo su “pianale”. Il pianale da che mondo e mondo è in basso. Provo ad alzare il tappetino dietro al sedile anteriore destro e, magia!, c’è una botola. La apro: ecco l’attrezzatura!

Quarta avventura: allo svitamento della vite! La vite è una cazzo di vite lunga venti centimetri che va svitata fino in fondo con la chiave perché a mano non si riesce. Che bello! Otto minuti di sana ginnastica e alla fine sento un clang della ruota che cade.

Quinta avventura: all’innalzamento dell’auto! A questo punto, preso da furore mistico, decido che è ora di finire tutto in pochi minuti perché ne ho avuto abbastanza. Metto la zeppa davanti alla ruota posteriore destra. Metto la retro e tiro il freno a mano. Tolgo il copricerchione. Smollo i bulloni. Metto il cric e inizio ad alzare l’auto. Dopo poco mi accorgo che l’asfalto (complici i 29 gradi) sta cedendo e la macchina non mi sembra troppo stabile. Interrompo l’innalzamento e inizio la discesa per rifarla dopo aver messo un asse o qualcosa di solido sotto il cric. A metà discesa si spacca la manovella del cric e mi abrado due dita sull’asfalto. Guardo il cric rotto nella speranza di svegliarmi da un sogno ma niente… rimane rotto… sono oramai le sei e trenta passate… sono a Torino con la macchina sollevata e il cric incastrato sotto di essa. Potrebbe andare peggio? Certo! Si mette a diluviare… al che comincio a ridere come un folle sudato fradicio come una vacca, sporco come un maiale, con due dita sanguinanti…

Mi guardo in giro e a distanza di trenta metri vedo una carrozzeria. Vado dentro e chiedo piangente un cric che mi viene prontamente dato da un ragazzo impietosito che viene con me. Il santo alza l’auto e io, in un minuto termino la sostituzione. Do dieci euro al tizio che mi fa anche lavare le mani.

Butto dentro tutto nel bagagliaio e ritorno a casa. Totale: 50 minuti per cambiare una gomma di cui 5 di sostituzione vera e propria e 45 di sfiga allo stato puro…

Che bella giornata di sport… 🙂

La neve

Ieri è stata una splendida giornata. Quasi. Diciamo che lo è stata per il 95%.

Parto da casa verso le 11 per andare a trovare Piergiuliano a Lecco, visto che per pochi giorni starà in Italia (vive in Canada). Gli 80 chilometri di strada sono incredibilmente sgombri (anche la A4!) e arrivo dopo mezzogiorno. Segue una piacevolissima visita con tanto di pranzo, Sonia è molto gentile e comprensiva con chi sta facendo consumare, assieme ad Antonio, tutto il tempo libero del marito. I figli Andrea e Massimo mi riportano indietro di una decina di anni, quando giocavo e facevo gli stessi scherzi con Alessandro e Federico.

Dopo le 4 di pomeriggio, visto che la neve cade copiosa, decido di ripartire e, non appena imbocco la prima strada provinciale capisco che mi aspetta un lungo viaggio…

L’umore è ottimo, la neve mi piace molto, l’auto ha il serbatoio pieno e gli pneumatici giusti, non ho fretta e nessun impegno in vista (la partita di basket della sera è rimandata proprio per il cattivo tempo). Dopo circa 90 minuti ho già percorso 5 chilometri, letto una cinquantina di mail e fatto due o tre telefonate di lavoro.

Verso le 18 e 30, con altri 5 chilometri alle spalle, mi fermo ad un distributore di benzina (esaurito) con tanto di bar annesso. Panino al tonno, diet coke, caffè e riparto.

Verso le 21 arrivo alla periferia di Milano. Le autostrade sono completamente intasate per cui decido di impostare sul navigatore “il percorso più breve” e mi diverto ad attraversare vicoli e stradine piene di neve.

Verso le 22 decido, dopo che il mio amico Bucci mi avvisa delle autostrade sgombre, di lasciare i vicoli e rimposto “il percorso più veloce”.

Sono dalle parti di Novate e vedo che sto per imboccare la Milano – Meda da questa rampa. Ne percorro un po’ ma mi viene il dubbio che Meda non sia la direzione che voglio prendere e, mentre sono al telefono sempre con Bucci, visto che non c’è anima viva in giro, faccio retromarcia per una ventina di metri.

Scopro così che dove sembra esserci della neve c’è il fossato che bene si vede nella foto… e le due ruote di destra vi scivolano dentro. Nel tentativo di uscire la macchina entra di più nel fossato e si inclina a 45° gradi. Dico qualche gentile parola al telefono, riattacco e scendo a controllare la situazione. E non è bella: nevica come non mai, fa un freddo becco, io ho un giubbottino leggero, scarpe leggere, senza guanti ne cappello (e nemmeno capelli), non si vede nessuno in giro e la luce più vicina è un distributore della benzina a qualche centinaio di metri.

Mi incammino, arrivo al distributore e leggo i nomi delle due vie dell’incrocio vicino in modo da poter dire al soccorso dell’assicurazione, che sto per chiamare, dove mi trovo. Chiamo il numero verde. 5 minuti di attesa. Parlo con un operatore gentilissimo e, mentre sto dando le ultime indicazioni il cellulare fa uno strano brusio e si spegne (l’indicatore della batteria dava il 50% di carica). In questo preciso momento mi starei guadagnando almeno un milione di anni di purgatorio, se mai dovesse esistere.

Torno all’auto, risalgo e, data la pendenza, la portiera mi si chiude sul dito. L’unghia diventa nera e io scopro che farsi male alle mani quando fa molto freddo fa guadagnare molti altri milioni di anni di purgatorio.

Metto in carica il cellulare, aspetto, richiamo il soccorso e dopo un’attesa di 12 minuti riattacco chiamando il numero estero dello stesso soccorso. Azzecco la mossa e mi risponde quasi subito un’operatrice che, controllando, mi avvisa che il suo collega aveva fatto in tempo ad avvisare un carroattrezzi che mi raggiungerà in circa 3 ore (“La situazione la vede anche lei”, “Sì, la situazione la vedo anche io”). Non posso prendermela con altri che con me stesso, torno in auto e la accendo per riscaldarmi un po’.

Passano pochi minuti e improvvisamente vedo delle luci lampeggianti di fianco a me. Scendo speranzoso e chiedo al tizio che mi fissa dal finestrino di un malandato (ma meraviglioso!) carroattrezzi: “Siete qui per me?”. “No, hai già chiamato il soccorso?”. “Sì, ma non importa, mi potete tirare fuori? Attenzione però, ho solo 20 € in tasca”.

I tre sul carroattrezzi si fissano, poi mi guardano e dicono “Ci sarà pure un bancomat qui vicino”.

Io: “Ok, ma quanto mi costa?”.

Loro: “50 €”.

Cerco meglio nel portafoglio e trovo una banconota da 50 € piegata. La prendo tremante e urlo “CE LI HO!!! Tiratemi fuori!!!”.

I tre scendono, uno mangia una mela, l’altro si pulisce i denti con un stuzzicadenti e il terzo toglie la neve da sotto l’auto per agganciarla. Mi ricordano Brad Pitt e soci in Snatch.

Tirano fuori l’auto dal fosso, io li pago, li ringrazio, torno in auto, avviso il soccorso di annullare la mia richiesta (altri 9 minuti di attesa, ma lo capisco visto il macello che vedo in giro).

Dopo un’altra ora di viaggio, arrivo a casa a mezzanotte e mezza.

Sono un uomo felice.