Una data indimenticabile

Sette ottobre duemilatredici. 7/10/13. + tre = 10 + tre = 13. Una data facile da ricordare. Ma non è per questo che io la ricorderò a lungo. Molto a lungo.

Gioco a pallacanestro da quando avevo 10 anni. Ad agosto faccio la solita visita medico-sportiva, con tanto di elettrocardiogramma sotto sforzo. La visita va bene e parlando con Giulio, il medico sportivo, gli racconto che quasi trent’anni prima mi fu diagnosticato un leggero prolasso alla valvola mitralica. Niente di preoccupante, è comune nelle persone alte, tant’è che anche a mia moglie Lucia e ad Alessandro, uno dei miei figli, è stata riscontrata la stessa patologia. Giulio mi chiede come fecero a diagnosticarla e, quando gli dico che fu tramite un ecocardiogramma, mi chiede di cercare il referto dell’esame e portarglielo alla visita dell’anno prossimo, giusto come documentazione.

Torno a casa e non provo nemmeno a cercare un esame di trent’anni (e due traslochi) fa. Decido invece di rifarlo nuovamente. Prenoto l’esame a un centro diagnostico convenzionato di Varese: la prima data disponibile per un ecocardiogramma Doppler è il 7 di ottobre del 2013, quasi due mesi dopo. Non ho fretta e confermo.

Arriva il giorno dell’esame. Vado al centro. Attendo il mio turno che arriva verso le 9 e 30 di mattina. La dottoressa mi fa togliere la maglietta e mi fa accomodare sul lettino. Mi spalma il gel da radiografia sul petto e, dopo qualche minuto di esame silenzioso, questo è più o meno il dialogo che segue:

Dottoressa: “Osteria…”

Io: “…”

D.: “Che grossa… non va mica tanto bene…”

Io: “…”

D.: “No, non va proprio bene. Chi le ha fatto fare questo esame?”

Io: “Nessuno, il medico sportivo mi ha chiesto un esame di 30 anni fa e allora io ho deciso di rifarlo di mia iniziativa. Ma scusi qual è il problema?”

D.: “Lei ha l’aorta ingrossata”

Io: “…”

D: “Un’aorta così non va bene. Lo sport se lo dimentica. Sono sicura che lei non fa certo ginnastica per anziani, quindi non posso proprio dirle che può fare ancora sport”.

Io: “… ” e intanto penso “[oh, cazzo]”

D: “Ci sono mai stati casi di morte improvvisa in famiglia?”

Io: “… Beh, [oh, cazzo], no… Nessuno… [oh, cazzo] Mi sa che sarò io il primo…”

D: “Ma no! Ci mancherebbe! Però un’aorta così è assolutamente da controllare”.

Finisce l’esame, scrive un po’ di cose al computer.

Io: “Scusi e adesso? Io la visita sportiva l’ho passata…”

D: “Beh, dovrebbe avvisare il medico sportivo. Sa, un’aorta di più di 5 centrimetri potrebbe essere un aneurisma. Pur essendo asintomatico, non sono cose simpatiche…” (questi punti di sospensione lasciano sottintendere chiaramente un “se poi muore giocando”).

Io: “Certo che ci parlo col medico sportivo, ma non per le cose poco simpatiche che gli capiterebbero se schiatto, quanto per il fatto che a me dispiacerebbe proprio un bel po’ schiattare. Sa com’è… Comunque cosa si può fare in questi casi?”

D: “Se con una TAC è confermato il problema, si potrebbe anche dover operare”

Io: “Operare? Come operare?”

D: “Sì, è un’operazione seria, a cuore aperto”

Io: “Ah… Ok… Bene… Vado”

Uscendo dallo studio, mi siedo su una sedia subito fuori e, grazie allo stress della incredibile notizia e alla mia già bassa pressione, praticamente ho un mancamento. La dottoressa se ne accorge, mi riporta sul lettino dove mi stendo giusto in tempo prima di svenire.

Mentre la mia mente vaga tra pensieri, rumori e immagini irreali, sento una voce lontana che mi chiama “Marco! Marco! Si svegli! Forza! Si svegli!”.

Mi sveglio.

Spiego alla dottoressa, un po’ spaventata, che nel corso della mia vita mi è già successo qualche altra volta di svenire per cali di pressione. Al che lei mi conferma che ho la pressione massima sotto i 70. “Una sincope da stress” mi dice.

Dopo qualche minuto mi alzo, faccio per andare a casa ma lei, giustamente, mi obbliga a stare seduto in sala d’attesa. Passano i minuti, mi rendo nuovamente conto di quello che poco prima mi è stato detto e sento di avere un altro calo di pressione. Mi stendo per terra alzando le gambe sulla sedia. Qualcuno in sala d’attesa richiama la dottoressa che esce e mi fa “Ancora? Adesso lei avvisa sua moglie e si fa riportare a casa”.

Io le dico che no, non chiamo mia moglie per andare a casa e che l’unico modo che ho per stare meglio è uscire il prima possibile da quello studio. Passa qualche altro minuto. Mi misura la pressione, tornata sopra i 100 e a questo punto mi lascia andare.

Vado a casa e racconto tutto a Lucia. Inizialmente non ci crede ma il mio sguardo le fa capire che, purtroppo, non sto scherzando.

Mando un messaggio al medico sportivo che mi risponde testualmente “L’eco a volte sproietta e sovrastima, mi piacerebbe vedere l’eco! Comunque indispensabile fare TAC urgente per capire le dimensioni reali: 5 cm. mi sembrano tanti. Spero abbiano sbagliato”.

Questa conferma della gravità della situazione non mi aiuta per niente. Vado dalla mia dottoressa, le spiego tutto, al che lei mi fa una ricetta per una “TAC toracica e addominale” con poco più sotto scritto “Per esame dell’aorta”. Poi ci mette sopra il bollino verde per gli esami urgenti da fare entro 72 ore. Vado al CUP di Varese dove mi prenotano per una TAC giovedì 10 all’Ospedale del Ponte.

Passano tre fatidici giorni in cui mi documento a più non posso sull’aneurisma all’aorta. Scopro come è fatta e che parte dal ventricolo sinistro del cuore, da cui la separa la valvola mitrale, sale su con l’aorta ascendente, poi forma l’arco aortico da cui escono tre grosse arterie che vanno a formare uno la carotide e la succlavia destra e gli altri due la carotide e la succlavia sinistra, poi scende con l’aorta toracica, quindi l’aorta addominale che strada facendo porta sangue a tutti gli organi che incontra e, infine, si divide in due e va a formare le due arterie femorali. Scopro anche che l’aneurisma all’aorta ascendente, il punto più largo misurato nel mio esame, è il più difficile da operare. Sternotomia, abbassamento della temperatura a 25 gradi, circolazione extracorporea, mortalità dell’operazione tra il 3% e il 5%, a seconda delle fonti.

3%. Più o meno la possibilità di fare un pieno alla roulette. Una percentuale molto bassa quando punti al casinò. Ma ti sembra maledettamente alta se riguarda la probabilità di morire durante un’operazione chirurgica.

Arriva giovedì 10. Vado in ospedale per la TAC. Lo stress sale. Arriva il mio turno. Il tecnico prende la prenotazione, la legge, mi guarda e mi fa “Aspetti a spogliarsi, devo parlare con un medico”. Passano i minuti. Torna e dice “Mi scusi ma hanno sbagliato al CUP. Qui non possiamo farle questo genere di TAC perché la macchina non è abbastanza veloce. Deve andare all’Ospedale del Circolo”.

Vado di nuovo al CUP e lì mi dicono che il ticket pagato resta valido e che posso direttamente andare al reparto di radiologia del Circolo per fissare l’esame.

Così faccio e a questo punto in reparto scopro che la angio TAC va fatta con il mezzo di contrasto. Siccome può dare fenomeni di allergia, devo però prima fare gli esami del sangue.

Torno dalla dottoressa, le faccio correggere la ricetta, mi faccio fare anche quella per gli esami del sangue, che faccio immediatamente la mattina dopo. Il ritiro dell’esito è possibile a partire da giovedì 17/10. Solo dopo quella data potrò tornare in reparto per prenotare la TAC.

Per fortuna venerdì parto per 4 giorni di svago a Berlino con mio figlio Federico. Questo mi aiuta a non pensarci troppo fino al ritorno, lunedì sera.

Martedì in giornata incrocio la dottoressa che mi avvisa che l’esito degli esami del sangue è in realtà già pronto, lo vede dal computer. Il giorno dopo, mercoledì, vado quindi a ritirarli e passo subito in radiologia a prenotare la TAC che, fortunatamente, mi fissano già per il giorno dopo, giovedì 17, con ritiro del referto a partire da martedì 22.

Passano finalmente anche queste 24 ore interminabili ore e vado a fare la tanto agognata angioTAC. L’infermiere che mi accoglie, Giorgio, è eccezionale e gentilissimo. Mi spiega tutto quello che riguarda l’esame: come funziona, quanto dura, la sensazione che si può provare quando viene iniettato il liquido di contrasto, il relativo, bassissimo, rischio di allergia e i sintomi a cui devo prestare attenzione nel caso si verifichino.

Quando gli racconto gli ultimi, pazzeschi, 10 giorni e gli dico che altri 5 giorni per attendere l’esito mi avrebbero probabilmente fatto morire per lo stress, mi confida che proverà a farmi fare una specie di referto immediato dal dottore.

Detto questo, mi mette un ago nella vena del braccio destro, mi fa stendere sul pianale della TAC, mi attacca il tubicino del mezzo di contrasto all’ago ed esce.

Inizia l’esame.

Di norma sono abbastanza bradicardico, sotto i 60 battiti al minuto, ma durante l’esame il cuore mi va a mille.

Dopo pochi minuti finisce tutto e posso uscire dalla sala TAC.

Mi siedo fuori e attendo. Giorgio passa, mi offre dell’acqua e mi avvisa che ci vorrà una mezz’oretta circa per scaricare tutte le immagini sul server.

Una lunga, lunghissima mezzora, che però alla fine passa pure lei.

Il dottore mi chiama, mi fa sedere e mentre fa scorrere sul monitor quello che è l’interno di me stesso, mi spiega: “La misura di cut-off per un’aorta normale è circa 4 cm. La dimensione della sua è 4.5 cm e non 5 come indicava l’ecografia. Un po’ sopra la norma ma, vista la sua altezza, il normopeso, la bassa pressione, il fatto che le sia stato diagnosticato un prolasso della mitralica trent’anni fa, direi che tutto lascia pensare che è sempre stata così. Inoltre non ci sono aneurismi lungo tutto il resto dell’aorta”.

Esco galleggiando dalla radiologia, mando un messaggio a Giulio, il medico sportivo, che mi risponde “direi ottime notizie e ora vai a giocare!”.

Il mio amico Gianchub (è il suo nome buddista) dice che questa storia è stata la mia chiamata. Non so cosa possa voler dire, ma di certo a me qualche insegnamento, profondo, l’ha dato. Infatti scrivo questo post proprio perché sono convinto che possa servire anche a qualcuno di voi 🙂